¿Voi siete qui?

Mercoledì 26 settembre 2018 – h 17.30

A cura di Rosanna Tempestini Frizzi | La Corte Arte Contemporanea Firenze

Testo critico di Gianni Caverni

Location PATRIZIA PEPE – Campi Bisenzio, via Piero Gobetti, 7/9 (Firenze)

Dal 26 settembre al 3 novembre 2018

Barba e capelli, e due punti per gli occhi. Cento, ma che dico cento, mille faccine punteggiano il grande rotolo di carta che si snoda in dialogo serrato con la rosa/rossa scala dell’atrio della “fabbrica” di Patrizia Pepe. Hanno tutte barba e capelli, e due punti per gli occhi, come Edoardo Nardin che le ha diligentemente disegnate, in punta di pennarello nero, entrando probabilmente in una sorta di trance da kenofobia: non c’è uno spazio libero, tutto è popolato, affollato, zeppo. E la forma del grande rotolo di carta non può che suggerire che la teoria dei personaggi/personaggio sia infinita, una sorta di work eternamente in progress dalle innumerevoli possibilità e potenzialità, una specie di gigantesco catalogo dell’incarnazione, del vestirsi da, del calarsi in qualunque personaggio, di rappresentazione possibile e impossibile.

“La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine”- La biblioteca di Babele, J. L. Borges

È giocoliere, acrobata, clown, equilibrista Edoardo Nardin. E artista visivo. Insomma tutto, o se non tutto, davvero molto. Le mille faccine, che gli assomigliano, vivono qui in altrettanti personaggi, uomini e donne (sì, anche loro con la barba), esseri umani e animali … insomma inutile ripetersi (dico per me, ché lui si ripete eccome e proprio la ripetizione è il fondamento, l’anima, di questo suo lavoro). Narciso? Egocentrico? Megalomane? Vanitoso? Individualista? Egoista? Presuntuoso?
Sì, certo. Ma tutto questo è solo al primo impatto. La domanda del titolo però è rivolta a voi, a noi. Voi siete qui, come nelle piantine di parchi grandi e complessi, di storici palazzi, di centri cittadini. Si tratta di un’affermazione forse un po’ brutale, solo appena ingentilita da quei punti interrogativi che suonano falsi come un soldo di legno: VOI SIETE QUI. Chi non si è mai fatto un selfie scagli la prima pietra! Chi non scatta col cellulare millanta fotografi e di viaggi, di cibi, di fi gli e nipotini, di aperitivi, di compleanni, cresime, battesimi, balli in piazza, chiappe chiare al mare, alberi di Natale, boccacce, brindisi, pizze, scritte sui muri, e tramonti, tanti tramonti? Chi non è consapevole che in un modo o in un altro si tratta sempre di selfie? Fotografi e effimere che ci raccontano o ci rappresentano, con le quali ammorbiamo gli altri, amici (?) e sconosciuti, con la complicità di Mark Zuckerberg, immagini che non sopravviveranno alla nostra insignificante vita o, peggio, alla vita del nostro arrogante cellulare, ma che soprattutto non ricorderemo quasi mai di avere scattato, che non stamperemo mai né mai riguarderemo. Noi, noi, noi. Per questo siamo tutti qui, nel gigantesco disegno di Edoardo Nardin dove tutti i personaggi hanno la sua faccia, ma potrebbero avere quella di ognuno di voi, di noi, di tutti. E a guardare bene ce l’hanno.